Elegant and Classic Gothic Style

La cavalleria

« Older   Newer »
  Share  
+ Kidekukka +
view post Posted on 11/1/2009, 15:56




La cavalleria


La cavalleria è un'istituzione entrata a far parte del sistema feudale intorno all'anno Mille.

In senso stretto, è cavaliere qualunque uomo d’arme che si sia sottoposto ai riti di una specifica cerimonia di iniziazione: l'investitura. Tuttavia questo non basta, perché bisogna anche obbedire a certe regole e soprattutto osservare uno stile di vita particolare. I cavalieri non formano dunque una classe giuridica, ma una categoria sociale che raccoglie tutti quegli specialisti del combattimento a cavallo - il solo efficace fino alla fine del XIII secolo - in possesso dei mezzi per condurre quell'esistenza a parte che è la vita cavalleresca.

Teoricamente, la cavalleria è aperta a ogni uomo che sia stato battezzato: ogni cavaliere può a sua volta nominare cavaliere chi giudica degno di esserlo a prescindere dall'origine o dalla condizione sociale.

Ma nella realtà le cose vanno diversamente.

A partire dalla metà del XII secolo, fra i cavalieri si contano quasi esclusivamente figli di cavalieri e la casta diviene così ereditaria. L'investitura di plebei, anche se non completamente scomparsa, è diventata eccezionale. Questo perché il cavallo, l’equipaggiamento militare, la cerimonia e le feste dell'investitura costano molto e l'esistenza stessa del cavaliere, fatta anche di piaceri e d'ozio, presuppone una certa ricchezza che a quell'epoca non poteva che essere terriera. Essere cavaliere infatti fa guadagnare solo gloria e onori: bisogna dunque vivere o della generosità di un personaggio ricco e potente o dalla rendita di un patrimonio.

La cavalleria è innanzitutto uno stile di vita. Richiede una preparazione speciale, una solenne vestizione e una serie di attività che non potevano essere quelle della vita di tutti i giorni.

La vita del futuro cavaliere inizia con un lungo e difficile apprendistato, dapprima nel castello paterno, poi, a partire dai dieci o dodici anni, presso un ricco padrino o un grande protettore. La prima formazione, familiare e individuale, ha lo scopo di insegnare i rudimenti dell'equitazione, della caccia e del maneggio delle armi. La seconda, più lunga e più tecnica, è una vera e propria iniziazione professionale ed esoterica, e si riceve collettivamente. A tutti i livelli della piramide feudale ogni signore è in effetti circondato da una sorta di scuola di cavalleria , dove i figli dei suoi vassalli, dei suoi protetti ed eventualmente dei suoi parenti meno fortunati, vanno a imparare il mestiere delle armi e le virtù cavalleresche. Più il signore è potente, più numerosi sono i suoi allievi.

Fino a un'età che può variare dai sedici ai ventitré anni, questi adolescenti vivono presso il loro protettore con il ruolo di paggi: servendolo a tavola, accompagnandolo a caccia, dividendone i divertimenti, imparano le qualità dell'uomo di mondo. Occupandosi dei suoi cavalli e delle sue armi, e più tardi seguendolo nei tornei e sui campi di battaglia, acquisiscono le conoscenze dell'uomo d'arme. Dal giorno in cui assumono quest'ultima funzione e fino a quello della loro investitura, portano il titolo di scudiero. E coloro che, per malasorte, mancanza di occasioni, oppure perché privi delle qualità necessarie, non ricevono mai l'investitura, restano tali per tutta la vita. Infatti solo dopo l'investitura ci si può fregiare del titolo di cavaliere.

Si osserva una grande differenza tra le investiture che avvengono in tempo di guerra e quelle che si svolgono in tempo di pace.

La prima è conferita sul campo di battaglia, prima dello scontro o dopo la vittoria: è la più gloriosa, anche se gesti e formule sono ridotti all'espressione più sobria, in generale alla consegna della spada e alla "collata".

La seconda coincide con la celebrazione di una grande festa religiosa (Pasqua, Pentecoste, Ascensione) o civile (nascita o matrimonio di un principe; riconciliazione di due sovrani). Sono spettacoli quasi liturgici, che hanno per cornice il cortile di un castello, il portico di una chiesa, una pubblica piazza o l'erba di un prato. Richiedono dai futuri cavalieri una preparazione sacramentale (confessione e comunione) e una notte di meditazione in una chiesa o in una cappella - la veglia d’arme - e sono seguiti da vari giorni di festeggiamenti, tornei e divertimenti.

La cerimonia vera e propria si svolge secondo un ritmo consacrato. Comincia con la benedizione delle armi che il padrino in cavalleria consegna al suo figlioccio: prima la spada e gli speroni, poi l'usbergo e l'elmo, infine la lancia e lo scudo. Lo scudiero li indossa recitando delle preghiere e pronunciando un giuramento con il quale si impegna a rispettare gli usi e gli obblighi della cavalleria. Per finire ha luogo la "collata", un gesto simbolico la cui origine e il cui significato sono stati molto discussi e che si impartisce in forme diverse: il più delle volte l'officiante, in piedi, imprime con la palma della mano un violento colpo sulla spalla o sulla nuca del giovane investito. In certe contee d'Inghilterra e in alcune regioni della Francia occidentale, questo gesto era ridotto a un semplice abbraccio o anche a una vigorosa stretta di mano. Nel XIV secolo la collata non verrà più impressa con la mano ma col piatto della spada, e si accompagnerà alla formula rituale: "In nome di Dio, di san Michele e di san Giorgio, io ti faccio cavaliere".

L’investitura, la tappa fondamentale della carriera del cavaliere, non trasforma però la sua vita quotidiana. Essa continua a essere fatta di cavalcate, di battaglie, di partite di caccia e di tornei. I signori che possiedono vaste proprietà ne sono i personaggi di primo piano, mentre i vassalli di feudi modesti devono contentarsi delle briciole della gloria, del piacere e del bottino.

Eguali nei diritti, i cavalieri non lo sono però di fatto. Esiste una sorta di "proletariato cavalleresco" che per le sue rendite, i suoi cavalli e persino per le sue armi dipende dai potenti (re, conti, baroni) ai quali è legato per le necessità di vita. Questi cavalieri indigenti, ricchi di speranze di gloria ma poveri di beni materiali, sono spesso uomini giovani in attesa della successione paterna o costretti dalla necessità a servire un protettore. Guidati dal figlio di un principe o di un conte, essi formano delle bande turbolente che cercano l'avventura e vendono i loro servigi di torneo in torneo, di campagna in campagna. Sono i primi a farsi crociati e a partire per spedizioni lontane, che li affascinano per la loro incertezza. Essi cercano di sedurre una ricca ereditiera che porti loro quei beni che né le loro imprese né la loro nascita hanno saputo procurare loro. Perciò in genere si sposano tardi.

La cavalleria non è solo una maniera di vivere, ma anche un'etica.

In linea generale, il codice cavalleresco può essere riassunto in tre grandi principi: fedeltà alla parola data e lealtà nei confronti di tutti; generosità, protezione e assistenza verso coloro che ne hanno bisogno; obbedienza alla Chiesa, difesa dei suoi ministri e dei suoi beni.

Alla fine del XII secolo, il perfetto cavaliere possiede al più alto livello le qualità che si attendono da un cavaliere: franchezza, bontà e nobiltà di cuore; pietà e temperanza; coraggio e forza fisica; disprezzo della fatica, della sofferenza e della morte; coscienza del proprio valore; fierezza di appartenere a una casata, di essere uomo di un signore, di rispettare la fedeltà giurata e infine, soprattutto, le virtù che il francese antico designa come "largesse" e "courtoisie". La largesse è nello stesso tempo generosità, liberalità e prodigalità. Presuppone la ricchezza e si contrappone all'avarizia e alla ricerca del profitto, che sono appannaggio di mercanti e borghesi di città. La courtoisie è ancora più difficile da definire. Comprende tutte le qualità enumerate e vi unisce la bellezza fisica, l’eleganza e il desiderio di piacere, la dolcezza e la freschezza d'animo, la delicatezza del cuore e dei modi, l'umorismo, l'intelligenza, la squisita educazione e un certo snobismo. Presuppone inoltre la giovinezza, la libertà da ogni attaccamento alla vita, la disponibilità alla guerra e ai piaceri, all’avventura e all’ozio. Però, per essere cortesi, non basta la nobiltà di nascita: i doni naturali devono essere affinati da una speciale educazione e mantenuti in esercizio dalla pratica quotidiana alla corte di un gran signore.


Michel Pastoreu da "La vita quotidiana ai tempi dei Cavalieri della Tavola Rotonda"
 
Top
0 replies since 11/1/2009, 15:56   107 views
  Share